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Nido di piccione: com’è fatto, come si costruisce e quanto dura

nido di piccione com'è fatto, chi lo costruisce e quanto dura
Materiali, posizione e durata del nido di piccione: come si costruisce e per quanto viene riutilizzato.

Capire il nido di piccione com’è fatto significa entrare in un piccolo capolavoro di ingegneria “essenziale”: una piattaforma scarna, leggera, spesso riciclata e continuamente ritoccata. Nei tetti e nei sottotetti delle città del Nord Italia – tra cornicioni di Bologna, pensiline industriali a Modena, campanili di Padova, corti storiche di Verona  il Columba livia domestica ha adattato la sua antica abitudine rupestre all’architettura urbana, scegliendo nicchie riparate e stabili dove il nido possa restare anche per più stagioni.

Parte 1 – Com’è fatto il nido, materiali e struttura

La domanda “nido di piccione com’è fatto?” ha una risposta chiara: è una piattaforma piatta e poco profonda, larga in media 18-22 cm, costruita con ramoscelli corti, paglia, fili d’erba secca, piume e, non di rado, materiali urbani come pezzetti di plastica, carta, lenze o filamenti di nylon. A differenza di molte specie che “tessono” coppe compatte, i piccioni assemblano uno strato poco coeso, che si consolida soprattutto grazie alla ripetizione d’uso e a una sottile cementazione “naturale”: polveri, polline e – col passare delle settimane – una frazione di guano che fa da legante, irrigidendo il basamento.

Dal punto di vista tecnico, la piattaforma funziona se:

  • è asciutta (o si asciuga in fretta) e non trattiene acqua;
  • è appoggiata su un piano semi-orizzontale, con leggero drenaggio;
  • ha riparo superiore (gronda, coppo, mensola o pannello) che mitiga pioggia diretta e radiazione solare estiva.

In città come Ferrara, dove le coperture storiche offrono piccole cavità tra travi e coppi, la piattaforma iniziale è spesso minima – una manciata di ramoscelli – ma nel giro di poche settimane diventa più stabile grazie alle micro-aggiunte quotidiane: un pezzo di spago, due aghi di pino, qualche piuma. L’essenza è questa: il nido di piccione “cresce” più per accumulo che per tecnica di intreccio.

1.1 Chi costruisce e quando: divisione dei compiti e tempi di cantiere

Nella costruzione del nido la coppia dcollabora: il maschio seleziona e porta la maggior parte dei materiali, mentre la femmina li dispone in sede, “testando” con il corpo la stabilità del basamento. L’attività può cominciare già qualche giorno prima della deposizione, con punte di lavoro al crepuscolo e al primo mattino (quando i materiali leggeri vengono spostati dal vento e conviene “fissarli”).

I tempi:

  • Allestimento iniziale: 2-4 giorni per una base funzionale.
  • Rifiniture: micro-aggiunte durante l’incubazione (circa 17-19 giorni).
  • Manutenzione tra una covata e l’altra: aggiunte sporadiche, sostituzioni di parti spostate o umide.

In aree urbane dell’Emilia-Romagna e del Veneto la stagione riproduttiva può essere prolungata rispetto all’ambiente naturale: temperatura più mite nei sottotetti e disponibilità di cibo consentono più cicli nell’arco dell’anno. Questo comporta che la piattaforma venga riutilizzata e ispessita, con un effetto “sedimentazione” visibile a occhio nudo: i nidi più longevi mostrano strati come “anelli” di attività passate.

1.2 Dove si trova: posizioni tipiche su tetti e strutture

Il nido non è mai posato a caso. I criteri principali di scelta:

  • Copertura superiore: sotto una tegola rialzata, una lamiera, un pannello fotovoltaico o un’ampia cornice.
  • Parete di fondo: che riduce l’esposizione al vento e dà un senso di protezione.
  • Piano d’appoggio: travicello, mensola, cassonetto di tapparella, canalina larga, nicchia di mattone.
  • Accesso: entrata e uscita rapide, con linee di volo sgombre.

Sui tetti con fotovoltaico la parte inferiore dei pannelli crea un microclima favorevole e un’ombra stabile: un “sottocoperta” antigoccia, perfetto per la piattaforma. Nei cornicioni storici di Padova o nelle pensiline industriali di Modena, gli appoggi orizzontali diventano scaffali naturali su cui più coppie allineano i nidi a distanza regolare.

Una nota urbana: i piccioni riutilizzano materiali trovati a pochi metri per convenienza energetica, perciò la composizione del nido riflette il “DNA” del quartiere. In zone verdi si troveranno più aghi di pino e paglia; in zone centrali, più filamenti artificiali (fili, nastri, frammenti di sacchetto). Questi ultimi possono irrigidire bene la piattaforma ma comportano rischi: lenze e fili avvolti alle zampe dei pulcini. È uno dei motivi per cui le piattaforme “urbane pure” richiedono spesso ritocchi continui.

1.3 Quanto dura davvero: uso singolo, riutilizzo e “vita utile”

La durata non è tanto del singolo “pezzo di legno” quanto del sito. In termini pratici:

  • Un nido nuovo regge una covata già con poche manciate di materiale.
  • Se il sito resta sicuro e asciutto, la stessa piattaforma può essere riutilizzata per mesi, con piccoli rinforzi.
  • In contesti molto favorevoli (sottotetti asciutti, disturbo minimo) il riutilizzo nido piccioni può proseguire per più stagioni, trasformando la piattaforma in un “cuscino stratificato” compatto.

In città come Verona, dove i sottotetti ventilati asciugano rapidamente, i nidi riutilizzati mantengono più a lungo la forma; in zone umide come alcuni quartieri di pianura in Romagna la piattaforma degrada più in fretta e necessita di ricostruzioni parziali. Uno studio dell’Università di Padova (2020) ha documentato il riutilizzo pluristagionale dei nidi urbani di Columba livia, confermando osservazioni sul campo nel Nord Italia.

Dal punto di vista “ingegneristico”, la vita utile del nido dipende da tre variabili: stabilità dell’appoggio, protezione dall’acqua, frequenza d’uso. Se due di queste sono ottime, il nido può durare davvero a lungo; se una viene meno (ad esempio infiltrazioni da gronda intasata), bastano pochi giorni di bagnato per deformare la piattaforma e costringere la coppia a un rifacimento.


Parte 2 – Costruzione, tempi, ruoli della coppia e riutilizzo

Apprendere il nido di piccione com’è fatto significa anche osservare come nasce, quando viene costruito e per quanto viene mantenuto. In città del Nord Italia – tra i sottotetti di Bologna, i cornicioni di Padova e le pensiline industriali del veronese – la costruzione nido piccioni segue una logica semplice ma efficiente: minimizzare lo sforzo, massimizzare la protezione.

2.1 Costruzione e tempi: come nasce un nido “funzionale”

Il cantiere è lampo. Dal momento in cui la coppia individua l’appoggio giusto (trave, mensola, incavo sotto una tegola o un pannello fotovoltaico), passano in media 2-4 giorni per avere una piattaforma utilizzabile. La regola è: pochi materiali, ma nel posto giusto. Ramoscelli corti, paglia, fili secchi d’erba o plastica, piume. La stabilità non deriva dall’intreccio – come accade in altre specie – ma dalla ripetizione: ogni passaggio aggiunge o sistema qualcosa; polveri e micro-residui compattano lo strato di base.

Fasi tipiche:

  1. Abbozzo (mezza giornata-1 giorno): una manciata di ramoscelli forma il cerchio di appoggio.
  2. Assestamento (1-2 giorni): la femmina “prova” il nido sedendosi, il maschio aggiunge e sposta.
  3. Pre-deposizione (ultime 24 ore): micro-rinforzi mirati dove cede.

In sopralluoghi effettuati in Emilia-Romagna (capannoni in area modenese), si osservano piattaforme già operative dopo la prima notte, con finiture durante l’incubazione.

2.2 Ruoli della coppia di piccioni: chi fa cosa

La divisione è chiara: il maschio porta il grosso dei materiali, la femmina li dispone e compattata sedendosi. Questo “collaudo corporeo” è fondamentale: la femmina percepisce se la base scivola o vibra e chiede, con richiami e posture, altre aggiunte. Nei siti esposti al vento – ad esempio tetti alti di Vicenza o Treviso – il maschio preferisce ramoscelli più corti e rigidi per evitare “effetto vela”.

Logistica del materiale:

  • Raggio di raccolta: di norma entro 50-100 metri dal nido (risparmio energetico).
  • Preferenze: elementi leggeri e asciutti; in quartieri verdi più aghi di pino, in centro storico più filamenti artificiali.
  • Riciclo: i piccioni rubano spesso pezzi da nidi abbandonati vicini; è un modo rapido per rinforzare senza cercare lontano.

2.3 Calendario delle covate e manutenzione del nido

In ambiente urbano la riproduzione può durare tutto l’anno, con picco in primavera e fine estate. Sequenza tipica:

  • Deposizione: 2 uova, a distanza di 24-48 ore.
  • Incubazione: 17-19 giorni (maschio e femmina si alternano).
  • Pulcini: 25-32 giorni per l’involo medio.

Durante incubazione e crescita, il nido subisce micro-manutenzioni: aggiunte di 2-3 ramoscelli al giorno, piccole correzioni nelle ore di minore vento, qualche piuma per “ammortizzare”. Se si accumula umidità (gronda che perde, condensa sotto pannelli), la coppia inserisce materiale più asciutto o sposta leggermente la piattaforma sullo stesso appoggio.

I piccioni adattano: se una giornata di pioggia sposta parte della base, nei successivi crepuscoli portano materiale più rigido; se il bordo cede, aumentano l’altezza nella zona “debole”. È una manutenzione a basso costo energetico, guidata dal feedback della femmina quando si siede per la cova.

2.4 Riutilizzo nido piccioni: quando conviene e quando no

Il riutilizzo nido piccioni è la norma se il sito resta asciutto, riparato e poco disturbato. Benefici:

  • Risparmio energetico: meno voli, meno tempo di raccolta materiali.
  • Maggiore riuscita: una base consolidata riduce la perdita di uova da rotolamento.
  • Stabilità: lo strato “sedimentato” vibra meno con raffiche di vento.

Quando non conviene riutilizzare:

  • Bagnato persistente: la piattaforma si deforma; rischio di raffreddamento uova/pulcini.
  • Parassiti: acari, pulci o zecche (ad es. Argas reflexus) che irritano gli adulti durante la cova.
  • Disturbo: lavori sul tetto, rumori prolungati, presenza di predatori.

In casi documentati a Ferrara, tecnici specializzati hanno osservato coppie spostare il nido di 30-50 cm pur mantenendo lo stesso “scaffale” sotto una mensola: è il compromesso tra restare fedeli al sito e migliorare le microcondizioni (più asciutto, meno spifferi). Anche in questo caso, dati raccolti dall’Università di Padova confermano l’alta frequenza di riutilizzi su più stagioni nei contesti urbani veneti.

2.5 Dimensioni, forma e adattamenti ai tetti del Nord Italia

  • Diametro utile: 18-22 cm (fino a 25 nei nidi “storici” a più strati).
  • Profondità: 3-6 cm; aumenta nel tempo con le aggiunte.
  • Massa: da 30-50 g (nido nuovo) a oltre 150 g (nido pluristagionale).

Su tetti con fotovoltaico si sviluppano piattaforme a “D”: il lato piatto poggia sul bordo del pannello, l’arco segue la curvatura di cavo/staffa. Nei sottotetti ventilati di Padova e Verona, la convezione asciuga rapidamente i materiali: qui i nidi “durano” di più a parità di uso.

Per approfondimenti sui nidi e i pannelli fotovoltaici leggi qua  

2.6 Nota urbana (Emilia-Romagna e Veneto, in controluce)

In quartieri storici dell’Emilia-Romagna e nelle periferie produttive del Veneto, lo stesso sito di nido può restare attivo per più stagioni, alternando coppie della medesima colonia. In alcuni interventi tecnici (documentati nell’area di Ferrara e nel Padovano) noi di Falco Installazioni abbiamo trovato piattaforme con 4-6 strati di materiale, testimonianza di un riutilizzo pluriennale. Il nido, insomma, non è un’opera “perfetta”: è una piattaforma viva, che nasce in fretta, si adatta ogni settimana e, se il posto è giusto, resiste sorprendentemente a lungo.

Parte 3 – Quanto dura davvero, quando intervenire e come chiudere il cerchio

Chiudiamo il percorso con una domanda pratica: quanto dura davvero un nido di piccione e quando ha senso intervenire? Dopo aver visto nido di piccione come è fatto e come la coppia lo costruisce e lo mantiene, possiamo tradurre l’osservazione in decisioni operative, senza snaturare l’approccio divulgativo e rispettoso della specie.

3.1 Perché molti nidi durano a lungo: i tre fattori chiave

  1. Asciutto – Un tetto che asciuga in fretta conserva le fibre e compatta bene la base.
  2. Schermo – Una copertura “capace” (coppo, mensola, pannello) difende da pioggia diretta e irraggiamento eccessivo.
  3. Routine – Strade aeree libere e fonti di cibo stabili mantengono basso lo stress.

Se due di questi fattori sono ottimi, il nido “vive” a lungo; se uno salta (umidità cronica o disturbo continuo), la vita utile crolla e la coppia si sposta.

3.2 Come distinguere un nido attivo da nido vecchio

  • Materiali: – ramoscelli “vivi” (elastici e puliti) = attività; ramoscelli fratturati e impolverati = abbandono.
  • Piume: chiare e soffici = presenza recente; grigie e infeltrite = uso remoto.
  • Guano: piccoli schizzi freschi attorno = sito frequentato; patina uniforme secca = sito non usato.
  • Rumori/ritorni: movimenti al crepuscolo e all’alba, “tubare” regolare = coppia in attività.
  • Gusci: frammenti lucidi e puliti = schiusa recente; gusci opachi-polverosi = schiusa datata.
  • Asciutto al tatto (assenza di aloni scuri sulle estremità).
  • Bordo definito (non sfilacciato, non “a pettine” dal vento).
  • Piume recenti (bianche e pulite) indicano attività in corso; piume ingrigite spesso segnalano abbandono.

Questa distinzione è decisiva: il nido attivo va lasciato in pace fino al termine della covata; il nido vecchio è il momento giusto per valutare bonifica leggera e prevenzione (senza disturbare coppie in attività).

3.3 Quando intervenire, e quando no

Non intervenire durante incubazione e crescita dei pulli: oltre a una questione etica, è controproducente (la coppia ricostruirebbe altrove nel giro di ore). Il momento migliore è il vuoto biologico tra una covata e l’altra o a fine stagione riproduttiva. L’intervento non è “demolire il nido”, ma mettere in sicurezza il sito:

  • Bonifica leggera: rimozione di materiale vecchio e umido, soprattutto filamenti pericolosi (lenze, fili sottili) che possono impigliarsi alle zampe.
  • Ripristino del deflusso: pulizia grondaie e pozzetti; un nido sano teme l’acqua stagnante più di tutto.
  • Riduzione degli appoggi: chiudere fessure inutili, livellare mensole dove possibile, proteggere gli spazi sotto pannelli fotovoltaici con sistemi dedicati.
  • Dissuasione puntuale: in siti “caldi” si può passare a barriere leggere, invisibili da terra e rispettose dell’architettura.

In diverse strutture storiche del Veneto (e in capannoni tra Ferrara e l’area modenese) si è visto che micro-correzioni ben studiate (una griglia, un profilo, una retina microforata) valgono più di interventi brutali: impediscono l’appoggio, non la presenza in sé, e riducono il bisogno di ricostruzione continua.

Per maggiori informazioni su come gestire un nido di piccioni clicca qua

3.4 Domande tipiche:

1. Il nido viene sempre riutilizzato?
Spesso sì, se il microclima resta favorevole. Il riuso è un risparmio energetico per la coppia.

2. Come è fatto il nido di piccione sul tetto?
Sul tetto i nidi sono fatti di ramoscelli robusti, talvolta intrecciati con paglia e aghi di pino.

3. È vero che i piccioni costruiscono nidi “sciatti”?
Sono essenziali, non sciatti: piattaforme leggere fatte per essere riparate di continuo. L’efficienza sta nella manutenzione più che nell’intreccio iniziale.

4. Posso spostare un nido “vuoto”?
Ha senso solo a covata conclusa e in assenza di attività: meglio farlo quando i segnali dicono che la piattaforma è abbandonata. Prima, verifica sempre eventuali regole locali.

5. I pannelli fotovoltaici aumentano la durata del nido?
Creano ombre asciutte ideali. Senza protezioni dedicate, sì: favoriscono riuso pluristagionale.

6. Al Nord Italia il nido di piccione com’è fatto e perché resiste di più?
Nei centri storici di Padova e Verona i sottotetti ventilati riducono l’umidità; nei capannoni dell’Emilia-Romagna (Modena, Ferrara, …) le pensiline ampie e i pannelli FV creano “micro-tetti” nel tetto. Risultato: nidi longevi per pura fisica del luogo, non perché i piccioni “preferiscano” una città all’altra.

7. Quanto dura un nido di piccione medio?
Da una singola covata a più stagioni se protetto e asciutto. Alcuni siti mostrano riutilizzi pluriennali.

8. Dove fanno il nido i piccioni in città?
Sotto cornicioni, dietro i camini, nelle grondaie, sotto pannelli fotovoltaici e in pensiline e capannoni industriali.

9. Quali materiali usano i piccioni per il nido?
Principalmente ramoscelli corti, paglia, aghi di pino, piume; spesso riciclano plastica, fili e carta.

10. Il nido di piccione è pericoloso per la salute?
Il nido in sé no, ma il guano può veicolare microrganismi patogeni; per questo servono guanti e mascherina in fase di rimozione.

11. Il nido di piccione com’è fatto sotto i pannelli solari?
Ha forma adattata, a semicerchio o piatta, sfruttando la staffa o il bordo del pannello come appoggio e l’ombra come protezione.

12. Perché i piccioni riutilizzano i nidi vecchi?
Per risparmiare energia e perché una base consolidata riduce il rischio di perdita delle uova. Se asciutta e riparata, conviene più che ricostruire altrove.

 

Conclusione: osservare, scegliere il momento e prevenire

Riassumendo: il nido di come è fatto si puo dire  è una piattaforma viva che esiste perché può essere rattoppata. La sua durata dipende dal sito più che dall’opera. Per convivere senza danni basta una regola semplice: osservare (attivo vs. vecchio), scegliere il momento (vuoto biologico) e prevenire è meglio che rattoppare (parassiti, sporcizia, …). Così si rispettano gli animali e si proteggono tetti e impianti.

Se il tuo edificio presenta nidi ripetuti, appoggi favorevoli o micro-infiltrazioni ricorrenti, una valutazione tecnica può evitare ricostruzioni infinite. In contesti urbani di Veneto ed Emilia-Romagna, interventi mirati hanno ridotto i siti “appetibili” senza impatto visivo. Team specializzati come Falco Installazioni programmano sopralluoghi gratuiti, micro-correzioni e protezioni sotto-pannello, interrompendo la catena di riuso che rende permanente un nido.

In definitiva, nido di piccione: com’è fatto, come si costruisce e quanto dura non è solo una domanda accademica ma un tema pratico. Se vuoi prevenire problemi futuri, contattaci,  Falco Installazioni e sempre disponibile per farti scoprire i suoi servizi di allontanamento volatili 

 

Articolo scritto da Luca Marcacci Direttore tecnico Falco Installazioni